Dalle umili origini come minuscola azienda di quattro persone, raccontati nella prima e seconda parte, Francesco Carlà riuscì a trasformarsi da giornalista in imprenditore, combinando talento e capacità gestionali con risultati sorprendenti. Simulmondo godette di una crescita esponenziale in pochi anni, così da arrivare a rivaleggiare, come organizzazione e numero di personale, perfino con un colosso come Electronic Arts. Dal 1992 in poi, a causa dell’ostinazione nel perseguire lo sviluppo di ‘fumetti interattivi‘ dedicati alle edicole, la società sembrava iniziare a perdere la bussola, avendo concentrate tutte le proprie risorse nella crescente attività di sviluppo di titoli periodici.

Nella terza parte della storia di Simulmondo, vedremo come la software house inizierà un lento ma inesorabile declino con il calo dei prodotti da edicola e l’integrità di un team che andrà a sgretolarsi in fretta.

1993: i 'serial' killer

L’alba del nuovo anno, il 1993, trova la software house bolognese piegata su se stessa a lavorare sui titoli da edicola con una qualità sempre più scadente. Le diverse persone impegnate, in quel periodo, alla software house riportano idee piuttosto diverse tra loro: alcuni di loro son ancora piuttosto alterati per quanto accaduto, altri ritengono che sia passato sufficiente tempo da considerarlo un capitolo chiuso. Ci sono un paio di punti, però, su cui tutti sembrano pienamente concordare, il primo è che il passaggio ai fumetti interattivi in edicola fu l’inizio della fine per Simulmondo.

Su cosa si sarebbe dovuto fare invece, vengono presentate molteplici teorie: il grafico e programmatore Riccardo Cangini menziona che chiudere la divisione ‘sportiva’ fu un errore fatale, mentre Venturi ritiene che Simulmondo avrebbe dovuto spingere maggiormente sull’esportazione dei propri titoli. La software house aveva stipulato degli accordi con alcuni publisher esteri per i loro precedenti titoli, Carlà ne ricorda diversi come Ubisoft per la Francia, a cui, però, sembrò mancare una spinta di marketing decisa. D’altronde, nel 1993 con l’intera forza lavoro Simulmondo esclusivamente dedicata ai giochi episodici, sembrava che tutti i precedenti successi dell’azienda fossero stati cancellati dalla faccia della terra. Nel disperato tentativo di finire i numeri mensili degli episodi in tempo, la qualità dei giochi andava lentamente declinando.

Ciro Bertinelli ricorda che mentre prima era solito mostrare con un certo orgoglio agli amici i giochi su cui aveva lavorato, nel 1993 iniziò a nascondere il suo coinvolgimento, considerando come il pubblico iniziasse a mostrare evidenti segni di stanchezza nei confronti di titoli fin troppo somiglianti tra di loro. Cangini ricorda anche che i rapporti in ufficio diventarono sempre più tesi, con i responsabili della produzione che si ritrovavano spesso a dover rimproverare duramente i colleghi.

Uno degli ultimi momenti felici della Simulmondo tra i colli bolognesi (1992)

Nell’arco di due anni, tra il 1993 e il 1994, la software house pubblicò un numero sorprendente di fumetti interattivi: 13 episodi di Tex Willer, 12 di Diabolik e 17 di Dylan Dog. Siccome ciascun titolo doveva essere compatibile sia per PC che Amiga, questo naturalmente comportava lavoro doppio per programmatori e tester. Per rispettare rigorosamente la severa tabella di marcia mensile, la creatività e sperimentazione in diversi generi che avevano reso Simulmondo una realtà tanto apprezzata, svanirono nel nulla. Il direttore della produzione Ivan Venturi ne parla come una trasformazione fatale:

 “Quelli che lavoravano in Simulmondo avevano poco più di vent’anni ed erano affascinati dall’idea che lo sviluppatore di Sim City avesse guadagnato un miliardo; per questo ad alcuni di loro l’idea di lavorare serialmente suonava poco creativa. A loro sembrava di lavorare in fabbrica.”

Mario Bruscella ricorda le difficoltà legate al lavoro nell’azienda bolognese:

“Per me lavorare a distanza era diventato sempre più costoso e con quanto guadagnavo a Simulmondo, facevo fatica perfino a pagare un affitto a Bologna, tanto meno a coprire le altre spese. All’epoca chi voleva fare il programmatore era davvero un eroe, s’imparava tutto da soli o con minime indicazioni che prendevamo sui listati di qualche rivista!”

Il programmatore Ciro Bertinelli ricorda poi, quando un bug critico nell’episodio 5 di Dylan Dog rendeva impossibile completarlo, su di loro si riversarono le chiamate di tanti giovani clienti contrariati. Ciro ricorda che al team fu indicato di rispondere a chi si lamentava: “Il gioco non può essere completato perché troppo difficile, v’invieremo la versione più semplice.” Naturalmente, per ‘più semplice’ s’intendeva la versione emendata dal bug: mai Simulmondo si era abbassata a un livello così basso nei rapporti con la clientela.

Nel mese di marzo 1993, debuttò in edicola un’altra serie episodica, Simulman: stavolta non si trattava di una licenza, bensì di un personaggio ispirato alle sembianze di Venturi (e Jim Morrison!) la cui serie di avventure si svolgeva proprio nel 2021. Oltre all’ambientazione futurista, la serie vantava personaggi particolarmente ispirati come ‘Il sistema operativo negativo SS-DOS’.

Per Carlà non sarebbe certarmente finita lì, erano in programma ancora altre nuove serie episodiche per i mesi a venire.

Bertinelli continua dicendo che, ormai, l’azienda aveva smesso d’investire in ricerca e sviluppo. Tutte le risorse a disposizione, umane ed economiche, erano concentrate sul fronte dell’edicola: una scelta che non tarderà a portare conseguenze irrimediabilmente negative. Su un altro punto, la maggior parte degli ex-sviluppatori di Simulmondo sembra essere d’accordo: il direttore Francesco Carlà era un imprenditore in gamba e con idee lungimiranti, ma non sembrava avere altrettanto talento nella gestione delle risorse umane.

Simulman episodio 5

Gianluca Gaiba ricorda come, nel 1993, i diversi ruoli di produzione fossero finiti per saltare del tutto. Nonostante il suo ruolo da un musicista, si ritrovava contemporaneamente a occuparsi anche del testing dei titoli e sceneggiature. Il team di programmatori era cresciuto numericamente, nei mesi, fino a comprendere più di una ventina di persone, ma i progetti erano troppi per poterli gestire in maniera ordinata. Era necessario occuparsi di tutto, non ci sarebbe stato modo di rispettare le scadenze altrimenti. Dopo mesi di lavoro durissimo, Gaiba menzionò a Carlà il pensiero di voler abbandonare l’azienda, ricevendo come risposta atteggiamenti di quasi totale indifferenza. “Mi sembrò come se me ne fossi potuto andare in qualsiasi momento, quasi ci fossero tre persone pronte a prendere il mio posto” ricorda. Gaiba lascia l’azienda poco dopo l’inizio dell’anno.

Gianluca continua: “Penso che nel 1993 avremmo dovuto lavorare sulle nuove tecnologie, sul 3D, non rimanere bloccati a oltranza su Diabolik e Dylan Dog“. Ciro commenta: “mentre il mondo dei videogiochi veniva completamente stravolto da Doom, noi cercavamo disperatamente di fare le nozze coi fichi secchi“. L’addetto alle pubbliche relazioni e tester Federico Croci, tuttavia, ammette che questi problemi non arrivavano negli uffici amministrativi sottostanti, dove la vita, fondamentalmente, continuava indisturbata. Croci lasciò l’azienda in seguito ma, mi racconta, i rapporti con la dirigenza rimasero sostanzialmente amichevoli: semplicemente ricevette un’offerta migliore per un lavoro nel mondo dei giochi arcade.

Con un giro di affari collegato ai fumetti interattivi ancora piuttosto solido, probabilmente nessun’azienda avrebbe razionalmente deciso di cambiare strada. Un libero imprenditore poteva sicuramente ritenere di guadagnare quanto più possibile da una congiuntura economica favorevole come questa, ma era necessario anche fare i conti con l’evoluzione del mercato. L’azienda aveva sostanzialmente smesso d’investire nel futuro.

Cangini ricorda che, sebbene fosse vero che Simulmondo continuava a crescere nel 1993, si trattava comunque di numeri non così significativi da giustificare l’ostinazione di Carlà nel persegiure il mercato dei fumetti interattivi.

Quando sette-otto mesi dopo arrivano i risultati delle vendite in edicola, ci si rendeva conto di aver fatto tirature in numero eccessivo: avevamo venduto molto meno di quel che si pensava. Avendo anticipando soldi che non torneranno, rimanevano evidenti mancanze di denaro liquido per affrontare le spese vive. La saturazione del mercato edicola fu pensata anche per evitare che arrivassero altri concorrenti ad accapparrarsi quel pubblico, ma finì per ritorcersi contro Simulmondo.

“Oltretutto, il business delle edicole non poteva essere replicato in nessun’altra parte del mondo, era qualcosa di tipicamente italiano” osserva Venturi. È vero che nel Belpaese eravamo abituati a comprare giochi in questo modo – specialmente a causa della pirateria dilagante nel mercato – ma eravamo tra i pochissimi a farlo in Europa.

Tex Episodio 12

Aprile 1993: 48 ore all'alba

Nel mese di aprile 1993, la squadra riuscì a concludere lo sviluppo di 38 episodi in due mesi, una richiesta che era stata avanzata dallo stesso direttore dell’azienda nel corso di una riunione piuttosto animata. Un’impresa quasi impossibile che i dipendenti riuscirono a portare a termine solo lavorando su turni di dodici ore al giorno, tutti i giorni della settimana. E di nuovo, nessuno di questi straordinari venne pagato. L’insoddisfazione montava incontrollata nel team.

La battaglia con l’edicola era vinta, ma la guerra del mercato era persa.

Difatti, il mese successivo altri collaboratori decisero di lasciare l’azienda. Tra di loro Ciro Bertinelli (responsabile del settore grafico), Stefano Balzani (responsabile della programmazione) e Cristian Bazzanini (responsabile dello storyboard). Si trattava di persone che avevano lavorato ai migliori titoli Simulmondo, tra i principali contributori al suo successo, ormai stufe di essere costrette a lavorare su orari impossibili senza riconoscimenti di alcun tipo. Il nucleo pulsante del team di sviluppo era arrabbiato, scoraggiato e fondamentalmente distrutto.

Il primo a ricevere la notizia fu proprio Ivan Venturi, ormai abituato al delicato ruolo di negoziatore tra il malcontento del team di sviluppo e gli ordini e desiderata della direzione, impegnato, allo stesso tempo, nell’assicurare che tutte le scadenze fossero rispettate. Aveva appena ventidue anni. Nel giro di pochi anni le cose erano cambiate del tutto: Ivan era diventato il creativo contro le crescenti pretese imprenditoriali di Francesco Carlà.

Non appena Ivan vide le facce plumbee dei suoi colleghi e amici, capì all’istante che anche i suoi giorni in Simulmondo sarebbero presto giunti al termine. Dopo aver appreso la notizia, lo stesso Carlà reagì in maniera piuttosto negativa mentre tutti gli altri stentavano persino a crederci. Erano sicuri che, come si suol dire, il direttore di produzione sarebbe affondato insieme alla nave. Ivan era una delle colonne portanti dell’azienda, fisso fin dal primo giorno, dedicando tutto se stesso affinché Simulmondo rimanesse leader indiscussa del mercato.

“Avevo cominciato a 15 anni a lavorare a certi ritmi e certi livelli, praticamente ero cresciuto con l’ombra costante dello stress da scadenza, dell’insuccesso, del timore di non farcela. Conoscevo perfettamente quella sensazione di amaro unita a una perenne contrazione alla bocca dello stomaco, dovuta alla paura di non farcela. Era tutto finito.

Vedevo i prodotti che si stavano chiudendo e sarebbero andati in edicola nei mesi successivi, in essi già alcune parti non dipendevano più da me: per motivi pratici non aveva senso che li seguissi io. Smisi di ‘soffrire’ nel vedere le ultime (scarse) produzioni edicola.”

Non era più la sua azienda, forse – realizzava adesso – non lo era mai stata.

Tre mesi dopo se n’andò definitivamente.

Michele Sanguinetti commenta:

“Carlà aveva un bel gruppo in cui avrebbe dovuto spendere di più, invece di concentrarsi solo sulle vendite e sul giro di affari dell’edicola. Con tutti quei ragazzi promettenti a disposizione, sarebbe bastato investire sulla loro crescita professionale per avere un team vincente”.

“Ciò che mi fa più rabbia” conclude amaramente Venturi “è che la maggior parte delle persone coinvolte erano grandi talenti che sarebbero stati fondamentali per l’industria videoludica italiana. Invece di coltivarli, venirono solamente spremuti al midollo e molte di quelle persone finirono, comprensibilmente, col non voler mai più toccare un videogioco”.

Francesco Carlà sarà condannato, nel febbraio del 1996, dal tribunale di Bologna a risarcire Ivan Venturi e Michele Sanguinetti delle ore di straordinario non corrisposte.

Damiano Gerli

Articolo originalmente apparso su: genesistemple.com

Fonti & Riferimenti

  • Interviste telefoniche condotte dal sottoscritto, tra ottobre 2020 e marzo 2021, con Ivan Venturi, Ciro Bertinelli, Mario Bruscella, Massimiliano Calamai, Riccardo Cangini, Federico Croci, Gianluca Gaiba e Michele Sanguinetti.
  • (1987-1992) MC Microcomputer; 122, 126, 127, 128, 130, 132, 133, 135, 146; Technimedia.
  • Cirica F. (2015), Simulmondo: La Nascita dell’industria videoludica italiana e la sua evoluzione, Tesi di laurea, Università di Bologna.
  • Post sulla pagina Facebook di Simulmondo gestita da Francesco Carlà
  • Grazie a Ivan Venturi, Mario Bruscella, Massimiliano Calamai, Riccardo Cangini, Federico Croci, Ciro Bertinelli, Michele Sanguinetti e Gianluca Gaiba per il tempo e l’attenzione. Ringraziamenti particolari a Ivan Venturi, Federico Croci e Roberto De Gregorio per le foto e i materiali contribuiti.

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