Ormai è noto che i videogiochi, nonostante la storia piuttosto recente, sono tra le forme di intrattenimento più lucrative e più pervasive del quotidiano. Gli appassionati sono sempre più numerosi e i videogames non vengono più additati come “passatempo da nerd”, ma, anzi, negli ultimi decenni vengono presi sempre più sul serio, esplorandone le potenzialità, come i videogiochi educativi e rieducativi, e la competitività, con la nascita degli esports.

La nascita del videogioco è difficile da rintracciare, poiché nella Storia ci sono stati molti tentativi, ma si può individuare negli anni ’70 un periodo cruciale, in cui i cabinati entrano a far parte degli spazi pubblici e le primissime console entrano nelle mura domestiche (Pellittieri et al., 2014). Tradizionalmente, il medium videoludico è nato in campi in cui gli uomini hanno avuto maggiore accesso e controllo come l’informatica, le sale giochi e i pub, luoghi in cui i giochi digitali sono stati introdotti per la prima volta e in cui la partecipazione femminile è sempre stata limitata (Dickey, 2006). La genesi dei videogiochi porta, quindi, con sé l’impronta culturale della discriminazione di genere. Infatti, l’idea del videogame come qualcosa di prettamente maschile ha origine dallo stereotipo della donna delicata e romantica, che non si approccia ad un certo tipo di ambienti, quali, appunto, pub, bar e sale giochi, considerati espressione del machismo. Ciò ha permesso la radicalizzazione di un ambiente esclusivamente maschile e di uno stereotipo ad esso legato, portando le grandi case videoludiche a considerare solo un tipo di target maschile. Successivamente, nel momento in cui il mercato si è aperto ad un pubblico femminile le case produttrici non hanno allargato il mercato esistente al target delle donne, ma hanno iniziato a produrre i cosiddetti Pink Games, ovvero videogiochi dedicati alle ragazze, in particolare a settori considerati “da donna”, come la cucina, la cura della casa, la moda, il babysitting ecc… rafforzando lo stereotipo (Sirtori, 2017).

Con il passare del tempo questa tendenza si è invertita, il mercato si è aperto sempre di più alle donne, i titoli vengono sempre più giocati da videogiocatrici, tanto che secondo gli ultimi report IIDEA (2022), in Italia si è molto vicino alla parità di genere. Questo, però, non ha contribuito a diminuire in modo significativo il sentimento di avversione, finanche astio, verso le videogiocatrici: la discriminazione è ancora presente nella quotidianità della donna e purtroppo, per i motivi appena elencati, comprende i videogiochi.

Per dimostrare tale affermazione, nell’ambito di una tesi magistrale, ho condotto un’indagine qualitativa, concentrandomi in particolare sulla discriminazione di genere nelle community videoludiche su Discord. Tale scelta deriva dal fatto che le comunità digitali nascono con lo scopo di raccogliere in un unico luogo virtuale persone che condividono le stesse passioni. I benefici che derivano dall’essere membri sono molteplici: relazioni e socialità, safe space dove essere sé stessi con le proprie passioni, senso di appartenenza, identificazione e accettazione del sé (Tardini et al., 2005), la possibilità di trovare persone con cui giocare ai giochi preferiti, raccogliere informazioni o suggerimenti riguardo a determinati titoli, esplorarne e conoscerne di nuovi. In particolare, Discord è una piattaforma VoIP nata con lo scopo di garantire quanto elencato, uno spazio per giocatori per interagire, comunicare e giocare in team; parola chiave: collaborazione. Nella realtà dei fatti, però, non è sempre così, anzi: nonostante le precauzioni, i regolamenti e le policy, si verificano fenomeni estremi, grazie al senso di sicurezza e libertà che offre la piattaforma. Sono state rilevate, difatti, diverse comunità virtuali che raccolgono opinioni e posizioni estreme, come ad esempio razzismo, omofobia, antisemitismo, nazismo ecc… (Gallagher et al., 2021). Il carattere di completa libertà e interazione molto vicina a quella face-to-face che offre Discord, porta le persone ad esprimere opinioni controverse e a protrarre comportamenti discriminatori di ogni tipo, compresa la discriminazione di genere. Attraverso tredici interviste fatte ad altrettante donne tra i 18 e i 29 anni, provenienti da Europa, Nord America e Asia, nel mio lavoro ho dimostrato che le donne ancora non sono benvenute nel mondo videoludico e nelle community online intorno ai videogiochi, che la discriminazione di genere in questo campo persiste e che l’intento delle comunità virtuali, quello di unione, cooperazione e condivisione, in alcuni casi fallisce e lascia il posto a divisione, scontro e ancora una volta discriminazione. Dall’analisi delle interviste, infatti, sono emerse una serie di considerazioni, di punti chiave e punti in comune che hanno permesso di rispondere alle domande di ricerca, guida della mia indagine:

 

La prevalenza di maschi rischia di creare comunità virtuali prone all’ostilità verso il genere femminile, attraverso molestie verbali e sessiste (la frase segnalata in modo più ricorrente è “Go back to the kitchen”) e comportamenti tossici (ad esempio cyberstalking), ma anche tramite attenzioni e apprezzamenti sessuali inappropriati. Si delinea, quindi, una duplice visione delle videogiocatrici in questi spazi digitali: la donna come intrusa, che non appartiene al mondo videoludico, e la donna come oggetto del desiderio. Difatti, sono proprio queste due le modalità di comportamento confermate dalle intervistate in diversa misura. La pratica di discriminazione più rilevata è la sessualizzazione, con frequenza più bassa di attacchi apertamente sessisti. L’ipotesi che si può delineare è che la maggiore interazione caratterizzante le communities spinge il videogiocatore a cercare l’attenzione femminile e a sessualizzare la donna. L’elemento competitivo tipico del videogioco viene meno, quindi decade il sentimento di minaccia che eventualmente potrebbe provare l’uomo nel vedere una videogiocatrice in un ambiente prevalentemente maschile. Emerge l’elemento del desiderio: si rilevano molteplici tentativi di attirare l’attenzione femminile, finanche raggiungendo gli apici della congiunzione tra sessismo e sessualizzazione, ovvero vedere la donna come mero oggetto del desiderio e delle proprie fantasie (palesato anche attraverso comportamenti estremi come commenti sessuali, l’invio di foto esplicite in privato, richieste inappropriate, molestie sessuali verbali).

Tutto ciò dimostra un desiderio intenso di entrare in relazione con le videogiocatrici, che, però, allo stesso tempo sono intruse e benvenute. Il paradosso si manifesta ripetutamente all’interno delle communities: se da una parte i gamer cercano in tutti i modi di instaurare una relazione con le donne che entrano nei server, perché ve ne sono ancora relativamente poche che giocano ai videogiochi, allo stesso tempo sono proprio i videogiocatori a cercare di tenerle fuori dalle communities videoludiche, proprio perché donne. Esse, infatti, vengono additate come incapaci, non appartenenti allo spazio videoludico (digitale e non) e assalite con commenti sessisti e comportamenti di gatekeeping per impedire loro di giocare all’interno delle communities e quindi di “far perdere” la loro squadra.

Come si può dedurre, la quotidianità e ripetitività di tali attacchi porta a stati d’animo negativi, quali disagio, rabbia, frustrazione umiliazione ecc… Per evitare tali vessazioni e sentimenti, le videogiocatrici hanno sviluppato una serie di strategie. Esse si possono riassumere in:

  • Impedire l’entrata e l’uscita dell’audio: la maggior parte del campione riporta di mutare il proprio output audio e tutti gli input derivanti da altri giocatori. In questo modo, le videogiocatrici non si fanno riconoscere come tali, non svelano la loro identità di donna per evitare di essere immediatamente attaccate, per non farsi cacciare o subire un impedimento fisico nel gioco (gatekeeping). Inoltre, bloccare l’audio in entrata significa che, in caso di molestie verbali sessuali o ingiurie verso la giocatrice, quest’ultima non è in grado di sentirle;
  • Nascondere la propria identità: non solo a livello vocale, ma anche attraverso il nickname e un’immagine profilo che non mostri femminilità. Infatti, alcune intervistate hanno dichiarato che il nickname può essere un indizio, e quindi è meglio averne uno neutro, o maschile, che non sveli l’identità di genere. Lo stesso principio vale per l’immagine di profilo: se è esplicita dei tratti somatici della ragazza o dà indizi di femminilità, le probabilità di ricevere messaggi, molestie o attenzioni indesiderate in chat vocale sono molto alte;
  • Bloccare le persone moleste: l’harassment e le attenzioni inappropriate appena descritte spingono le videogiocatrici a bloccare alla sorgente il loro perpetrarsi e quindi, bloccando l’utente, impediscono qualsiasi contatto;
  • Modifica del proprio comportamento: l’inclusione è un fatto importante nelle comunità online e affinché le videogiocatrici si sentano incluse nei gruppi creati nelle communities, spesso si ritrovano a cambiare il proprio comportamento per adattarsi; oppure a subire gli atteggiamenti tossici dominanti non solo da maschi, ma anche da femmine, che per sentirsi parte del gruppo, adottano gli stessi pattern. Non solo: parte del campione riporta di aver sviluppato atteggiamenti freddi, distaccati e diffidenti all’interno delle comunità digitali per poter mantenere la distanza e impedire che la gentilezza o la propria personalità naturale vengano lette come un invito ad attenzioni non volute;
  • Creazione di communities esclusivamente femminili: parte del campione dichiara di fare parte di community femminili, alcune in modo esclusivo. Le donne si sono create degli spazi virtuali dove essere accolte come videogiocatrici, privi di giudizio, pieni di ascolto, comprensione, divertimento e serenità, dove non vengono aggredite per il solo fatto di essere donne appassionate di videogiochi.

Risulta dunque evidente che anche in ambienti che dovrebbero essere pregni di collaborazione e condivisione, come le comunità virtuali, e divertimento e svago, come i videogiochi, sono presenti ombre buie di discriminazione e sessualizzazione. Naturalmente, non è possibile e onesto fare di tutta l’erba un fascio, ritenere ogni videogiocatore colpevole di tali comportamenti, come confermano le stesse intervistate che raccontano di episodi in cui i loro amici, compagni e team mates le hanno difese dalle vessazioni descritte finora. È anche vero, però, che l’ampia presenza di donne in questo campo non collima con il trattamento a loro destinato e che la presenza di discriminazione di genere nel mondo videoludico, nonostante i netti miglioramenti degli ultimi decenni, deve far riflettere sul significato di questo medium e sulle azioni che si possono compiere per giungere, passo dopo passo, a una parità reale.

Eugenia Sala

Bibliografia
  • Dickey M. D., (2006). Girl gamers: the controversy of girl games and the relevance of female-oriented game design for instructional design. In «British Journal of Educational Technology», 37, 785–793.
  • IIDEA (2022). Report: I videogiochi in Italia 2022.
  • Pellittieri M. & Salvador M. (2014). Conoscere i videogiochi. Tunué S.r.l
  • Sirtori F., (Tesi di Laurea) (2017). Mulier et mater videoludens: analisi della figura femminile nell’industria videoludica e in societa’ – Ora madri, allora ragazze, sempre giocatrici – quando le donne si mettono in gioco. Università Cattolica del Sacro Cuore. P. 29.