Nel 2006 il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen ha definito la nostra epoca “Antropocene”, ad indicare l’eccezionalità dell’intervento umano sui sistemi naturali del pianeta: da quello che sappiamo infatti è la prima volta che una singola specie ha alterato talmente in profondità i meccanismi di riproduzione ambientali da vedersi paragonata alle grandi forze della natura che, da sempre, hanno operato sulla Terra. Le nostre abitudini di consumo insieme alla scarsa sensibilità dimostrata dalla politica nei decenni passati («Quando hai passato metà della tua vita politica gestendo temi monotoni come l’ambiente… è eccitante avere una vera crisi nelle tue mani» commentava Margaret Tatcher nel 1982 riguardo alla guerra nelle isole Falkland) hanno fatto sì che l’uomo sia stato in grado di alterare il ciclo dell’acqua, dell’azoto, del carbonio e di produrre l’impennata più brusca e marcata della quantità di gas serra in atmosfera negli ultimi 20 milioni di anni. E oggi, al secondo anno del cosiddetto “Coronacene”, l’emergente era pandemica che a partire dai primi mesi del 2020 ha ridefinito le agende private e pubbliche internazionali, la profonda connessione tra la salute del pianeta (fauna e flora) e quella della specie umana appare ancora di più come indissolubilmente legata.
Non si deve quindi ignorare la rilevanza strategica che la Comunicazione Ambientale è chiamata a ricoprire nel sensibilizzare il cittadino medio favorendo la diffusione di comportamenti e pratiche che tengano conto della necessità di implementare azioni sostenibili sul lungo periodo (Abbati 2019). Inizialmente i social media tradizionali, come Facebook e Twitter, erano stati considerati una via per raggiungere questo scopo, ma con il tempo queste piattaforme hanno mostrato i propri limiti: fake news, forme di citizen journalism basate su fonti non verificate, bolle ideologiche (o echo chamber) contribuiscono quotidianamente alla costruzione di un’informazione spesso autoreferenziale e politicamente polarizzata, che riduce il problema dell’ambiente alla dialettica tra partiti progressisti e conservatori.
Nell’ambito del dibattito contemporaneo sull’ambiente è inoltre indispensabile considerare il protagonismo crescente di una nuova coorte di età, quella dei nati dall’inizio del 1995 fino al 2012: la cosiddetta Generazione Z. Nativi digitali e nativi ecologici, i Gen-Zers si sentono responsabili in prima persona delle sorti del pianeta e vivono la tematica ambientale sempre meno come un argomento di matrice esclusivamente progressista. Le loro abitudini mediatiche non contemplano i media e i social network tradizionali (giornali, tv, Facebook e Twitter), ma si orientano verso piattaforme con predominanza di contenuti audiovisivi, come Instagram, YouTube. Ciò che rende davvero unica questa generazione dal punto di vista delle pratiche mediali è il ruolo ricoperto dai videogiochi: questi rappresentano una realtà universale, che coinvolge maschi e femmine, influenzando i meccanismi di costruzione della soggettività propria e altrui. Le sale giochi di una volta sono state sostituite dalle community online che sorgono intorno ai videogiochi grazie a piattaforme come Twitch e YouTube, dove i ragazzi guardano i loro idoli giocare: gli streamer sono considerabili alla stregua di influencer che con i loro contenuti riescono a raggiungere milioni di giocatori in tutto il mondo.
In questo senso i videogiochi svolgono la stessa funzione dei social network, mettendo in contatto migliaia di persone a prescindere dalla loro collocazione geografica e sociopolitica: per questo rappresentano dei terzi luoghi (Oldenburg, 1999) salienti per la creazione delle opinioni, degli atteggiamenti e delle intenzioni di comportamento. Come osserva Frey (2018): «Le loro interazioni insegnano essenzialmente l’alfabetizzazione civica […], un corso intensivo su come scendere a compromessi, bilanciare le esigenze reciproche e risolvere i conflitti».

L’idea che i videogiochi potessero rappresentare una via percorribile per confrontarsi su temi complessi era già dibattuta dalla metà degli anni 2000, quando i game designer iniziarono a rendersi conto del potenziale che potevano rivestire come “giochi seri” (Blackman 2005; Michael e Chen 2005): l’intrattenimento da fine diventava mezzo per promuovere la formazione governativa o aziendale, l’istruzione, la salute, le politiche pubbliche e gli obiettivi di comunicazione strategica (Zyda 2005). L’aspetto educativo dei giochi seri è stato particolarmente analizzato in letteratura, tanto da portare negli anni Novanta alla nascita del termine “edutainment”.
Già nel 2005 Frasca aveva predetto che i videogiochi sarebbero diventati uno strumento sempre più popolare per l’articolazione della politica, del discorso sociale e dell’attivismo man mano che fossero stati incorporati nelle abitudini mediatiche delle famiglie, allo stesso modo Raessens (2006) ha sostenuto che portando in primo piano le questioni sociali e politiche, sviluppatori, artisti e attivisti politici avrebbero trasformato i videogiochi da spazi per la pura fantasia a mezzi per promuovere il realismo sociale e la critica. Nel definire i videogiochi come media espressivi che comunicano messaggi attraverso i loro sistemi di rappresentazione procedurale e audiovisiva in grado di simulare i processi della vita reale, Bogost et al. (2010) sottolineano che il loro potere persuasivo potrebbe essere utilizzato persino per dare vita a questioni politiche.

Riconoscendo questo potenziale, dalla metà degli anni Duemila hanno avuto luogo i primi esperimenti che hanno utilizzato videogiochi per riflettere sulle questioni ambientali: uno dei primi e dei più articolati è World Without Oil (2007), progettato da Levy e McGonigal, il quale, combinando gli elementi di un ARG (Alternate Reality Game) con quelli di un gioco serio, simulava gli effetti di uno shock petrolifero chiedendo ai giocatori di immaginare e documentare le loro vite in quelle condizioni. Diverse ricognizioni empiriche sottolineano che negli ultimi anni i videogiochi sono stati le forme più popolari di giochi seri per la sostenibilità. Se agli inizi degli anni Duemila i serious game per l’ambiente consistevano soprattutto in giochi multiplayer online sviluppati da istituti no profit o di ricerca, spesso con scarsa attenzione all’interattività e al gameplay stesso, oggi l’industria dei videogiochi sta facendo grandi passi avanti. Diversi giochi molto noti sono stati impiegati in campagne di sensibilizzazione come Angry Birds “Champions for Earth”, “ClimateFortnite”, Minecraft “Coral Crafters” e Minecraft “Climate Hope City”. Alcuni dei grandi attori dell’industria – come Sony, Ubisoft e Rovio – si sono inoltre impegnati nel definire obiettivi di sviluppo sostenibile, come dimostra la “Playing for the Planet Alliance – How video games can deliver for people and the environment” lanciata nel 2019 dall’ONU Ambiente e GRID Arendal. Costituita dai 30 player più influenti a livello globale nell’ambito videoludico e da alcuni attori più piccoli ma grandemente innovativi, questa alleanza mira a generare “impulsi verdi” che guidino le aziende e i singoli individui verso scelte maggiormente rispettose del pianeta.

Alla luce di questi aspetti sembra quindi arrivato il momento di domandarsi se e come i videogiochi possano essere utilizzati per perseguire obiettivi di comunicazione strategica in ambito ambientale, fornendo ai più giovani una cornice per confrontarsi e attribuire significato alle questioni ecologiche lontano dalla polarizzazione dei social media tradizione. La domanda che ci si è posti è stata quindi la seguente: in che modo i videogiochi possono essere adoperati come medium per la Comunicazione Ambientale presso i Gen-Zers?

Per approfondire come e quanto i videogiochi vengano adoperati per sensibilizzare rispetto a determinate questioni ambientali si è proceduto ad analizzare un campione di 13 casi, realizzati tra il 2013 e il 2018, che hanno utilizzato videogiochi con un forte intento didattico a livello ecologico (World Rescue, Pokémon GO, Runescape, Minecraft “Climate Hope City”, Minecraft “Block by Block”, Minecraft “To The Last Tree Standing”, Angry Birds “Champions for Earth”, Angry Birds “Birdlife Intenrational”, Eco, ClimateFortnite, GetWater!, Mermaid Death Squad). Una prima osservazione mostra come il 61% delle campagne utilizzi videogiochi già esistenti, valorizzandone le peculiarità e sfruttando l’ampia base di utenti raggiungibili: si tratta di titoli come Minecraft, Angry Birds, Fortnite che si prestano per cause importanti in cui credono, mettendo a disposizione la propria notorietà e identity per trovare l’attenzione di un pubblico il più vasto possibile. Anche i generi di gioco impiegati sono diversificati, con predominanza di sandbox game (31%) e casual game (38%), ad indicare da un lato le opportunità rappresentazionali degli open world, dall’altro la consapevolezza della scarsa attenzione degli utenti, propensi a giocare senza effort in termini di tempo e di concentrazione. Solo il 46% dei casi ha attuato una convergenza con altri social media: ciò sta a indicare come ancora sia poca la consapevolezza circa l’importanza di integrare diverse piattaforme con coerenza, per aumentare la reach del messaggio e per riconoscere ai videogiochi il ruolo di aggregatori sociali come social media. Interessante notare la relazione tra narrazione e ideologia di gioco: del 54% dei casi che utilizza videogiochi che non mostrano una struttura narrativa o una trama interna al gioco il 57% consiste in sandbox, a dimostrazione della libertà che i giochi open world lasciano ai comunicatori. Il 66% dei casi utilizza concetti scientifici indicandone le fonti e solo il 23% impiega moderatori (streamer, esperti, personaggi del gioco) per veicolare le informazioni.

Fra tutti i casi nel campione ve ne è uno particolarmente interessante ai fini della domanda di ricerca: la campagna “To The Last Tree Standing” realizzata da Greenpeace Poland nel 2017 nell’ambito del conflitto riguardante la deforestazione della foresta di Białowieża. Sfruttando il ruolo attivo dei moderatori a livello didattico, nonché l’assenza di una narrazione codificata all’interno di Minecraft e le potenzialità esplorative dello stesso, questo progetto rappresenta un caso studio esemplare per comprendere come i videogiochi possano essere adoperati con successo per comunicare l’ambiente. Ma partiamo dall’antefatto.

Nel 2017 il governo conservatore polacco ordinò di triplicare la quota di alberi deforestabili nelle zone limitrofe al Parco Nazionale della foresta di Białowieża, patrimonio UNESCO dal 1992 e ultima testimonianza della foresta primordiale che un tempo si estendeva in tutta Europa, sostenendo la necessità di una “potatura sanitaria” per fermare un’infestazione di Ips typographusper, una particolare specie di coleottero di corteccia. Questa decisione, pericolosa per la biodiversità dell’area e mossa dall’interesse economico legato alle vendita del legname (dopo la Cina, la Polonia è il secondo fornitore di legno per il colosso svedese Ikea), provocò reazioni forti nella cittadinanza, in particolare nelle ONG ambientaliste, le quali diedero vita a numerose forme di protesta il cui obiettivo principale era convincere il maggior numero di cittadini a firmare la lettera di denuncia alla Commissione Europea e la petizione online rivolta al Primo Ministro polacco per estendere l’area del Parco Nazionale a tutta la foresta. Perché la firma avesse valore legale era necessario avere compiuto 13 anni: per un risultato ottimale c’era quindi bisogno del sostegno di un nuovo gruppo, quello dei Gen-Zers, la cui voce non era mai stata sentita prima. È stato nel mondo della comunicazione che è nata l’idea per dialogare con questa fascia di pubblico distante dai media e dalle forme di protesta tradizionale. Prendendo l’iniziativa, il colosso pubblicitario Ogilvy Poland si è rivolto a Greenpeace, offrendosi di dare vita a un progetto per generare awareness nei più giovani, facendo informazione in maniera innovativa. La campagna, battezzata con il nome “To The Last Tree Standing” (Ostatnie drzewo in polacco), prevedeva come elemento centrale la copia digitale della foresta realizzata su Minecraft in scala 1:1, con 700 chilometri quadrati di immagini satellitari e oltre 7 milioni di alberi disegnati su misura. In questo modo i ragazzi avevano la possibilità di esplorare liberamente la foresta “come dal vivo” e, grazie a sei ore di contenuti educativi ambientati nella mappa pubblicati su YouTube da vari streamer polacchi, la copia digitale diventava un modo per conoscere la storia di Białowieża. Il progetto prevedeva inoltre una serie di lezione nelle scuole, così da coinvolgere famiglie e insegnanti attraverso un medium particolarmente apprezzato dagli studenti.

Il punto focale della campagna consisteva in un Twitch live-stream con uno fra i più noti gamer polacchi, Gimper: durante questa sessione la mappa, a cui i giocatori si erano abituati e che avevano imparato a scoprire, era stata sostituita da una copia non più popolata da 7 milioni di alberi, ma dai loro ceppi. Un unico albero era rimasto (da qui il nome della campagna) ed era compito dello streamer trovarlo nel minor tempo possibile grazie all’aiuto di un mediatore che, oltre a guidarlo, forniva informazioni sulla foresta. Questa diretta ha avuto un eco notevole in rete, affermandosi come il contenuto Twitch più visto in Polonia e il quarto titolo più ricercato su Google in Europa per quella giornata.

Il pubblico, motivato dall’esperienza del sentimento di perdita, ha reagito firmando la petizione ed esprimendo a gran voce la propria adesione alla campagna.
Ogilvy stima di aver raggiunto oltre 100 milioni di persone in tutto il mondo e di aver contribuito a raccogliere una parte consistente delle 170.000 firme all’interno della petizione per aumentare le dimensioni del Parco Nazionale di Białowieża. Questo progetto, insieme all’impegno massiccio della cittadinanza, delle ONG e di altri media ha contribuito in modo decisivo a bloccare il disboscamento, portando inoltre alle dimissioni del ministro dell’Ambiente a gennaio 2018.

Per indagare le narrazioni online riguardo al disboscamento e la percezione della campagna da parte degli utenti si è proceduto con un’analisi per nuclei tematici del discorso sviluppatosi su Facebook e YouTube. Per il primo sono stati esaminati l’account istituzionale della campagna (Ostatnie drzewo), le pagine e i gruppi sorti a sostegno della foresta di Białowieża (Wierzę w Białowieżę Kocham Puszcz, Obóz dla Puszczy e Puszcza Białowieska) e il profilo di Greenpeace Polska; per il secondo i canali di campagna e degli streamer coinvolti nel progetto. I materiali (circa 600 post e 50.000 commenti) sono stati raccolti in lingua polacca e tradotti con l’ausilio di software online e di un interprete madrelingua. Oltre a ciò, per approfondire il fenomeno considerando il processo di realizzazione a monte, sono state condotte interviste strutturate a coloro che hanno seguito le attività operative e strategiche del progetto. Per Ogilvy, in cui le persone impiegate nel progetto erano sette, sono stati intervistati il project manager, il copywriter e autore del concept creativo e uno dei due art director coinvolti. Per GeoBoxers, l’impresa danese a conduzione famigliare cui l’agenzia si è affidata per la realizzazione della mappa di Białowieża su Minecraft, è stato intervistato l’amministratore delegato in quanto responsabile della gestione dei rapporti con l’agenzia di comunicazione. Le interviste si sono svolte in lingua inglese e sono state poi tradotte in italiano.

La discussione intorno al disboscamento di Białowieża si è svolta soprattutto su Facebook: le caratteristiche di questa piattaforma e delle pratiche mediali che vi hanno luogo (postare commenti, pubblicare foto, condividere contenuti) ne hanno fatto un terreno fertile in cui gli utenti hanno potuto esprimere la loro opinione sulla questione, con vari gradi di polarizzazione politica. In questa spazio è evidente l’influenza esercitata da echo chambers, fake news (condivise più o meno consapevolmente dagli utenti) e rappresentazioni solo apparentemente neutrali fornite da blog esterni o giornali online di natura filo-governativa. Due prospettive in particolare si confrontano in quest’arena digitale: la prima, incarnata nei discorsi del Ministero dell’Ambiente e dei suoi sostenitori, che inquadra la foresta come una risorsa per lo sviluppo economico polacco, con la conseguente necessità di una protezione attiva e continua da parte dell’uomo; la seconda, veicolata dagli oppositori, vede Białowieża come un ecosistema maturo che, nel corso di migliaia di anni, ha sviluppato meccanismi di autoregolazione che gli permettono di affrontare i cambiamenti preservando la biodiversità. Le narrazioni mediatiche del conflitto, nel dare rilevanza ad alcuni aspetti piuttosto che ad altri, hanno contribuito attivamente a rappresentarlo come uno scontro non tra diversi usi dello spazio, ma tra diverse visioni della politica polacca: in una parola fra destra e sinistra, fra profitto economico ed ecologia. L’autore stesso della campagna nel corso dell’intervista si è riferito esplicitamente a questo aspetto:

«C’è stata una ‘intuizione’, un pezzo di verità puramente strategico che ha acceso tutto, vale a dire la realizzazione della radice di ogni male, che è la polarizzazione della società. Quando una società è polarizzata, è abbastanza facile per i politici manipolare l’opinione della gente su praticamente qualsiasi argomento: le persone sentivano che essere ambientalista era sinonimo di essere “di sinistra”, nel senso di un credente cieco e indifeso e sotto ogni punto di vista “non patriottico”. Sapete, se il “governo patriottico” sta disboscando la foresta, chi sono le persone che si oppongono al disboscamento? Non patrioti. Abbastanza semplice in realtà. L’intero compito era quello di de-polarizzare il gruppo target (il primo grande “come”) e poi farlo agire collettivamente (il secondo grande “come”)» [W., 34 anni, copywriter]

È proprio dall’osservazione della pressante polarizzazione che un videogioco è stato scelto come pilastro della campagna. Come ha osservato ancora l’autore del concept:

«I videogiochi non polarizzano i ragazzi. Naturalmente tutti hanno le loro preferenze, ma non si è mai sentito che i fan di Starcraft tirassero sassi contro quelli di Quake, questo livello di antagonismo non si verifica nel mondo dei videogiochi […]. Così abbiamo preso il soggetto polarizzante e messo in un mondo amichevole, sicuro, dove le opinioni potevano ancora essere liberamente scambiate, senza eccessiva ostilità» [W., 34 anni, copywriter]

La scelta è caduta su Minecraft in particolare per la sua popolarità e il suo potenziale educativo, ma anche per la sua ampia e vivace comunità di giocatori:

«Volevamo portare questa conversazione nelle scuole e nelle case delle persone attraverso i loro figli. Minecraft sembrava la piattaforma migliore per farlo. È già usato come strumento educativo in molte scuole» [M., 30 anni, art director]
«Minecraft è più di un videogioco, è un social media. È una comunità di circa 87 milioni di giocatori attivi in tutto il mondo. È un gioco che unisce le persone. Molte comunità creano i propri server per tutti i giocatori. Sono cresciuto in una piccola città, dove c’era questa sala giochi: c’era sempre un bambino con una moneta che riusciva a battere il record di gioco mentre gli altri lo guardavano giocare. Questo è quello che sta succedendo ora con Twitch e YouTube» [W., 34 anni, copywriter]

Su YouTube i toni del dibattito risultano meno accesi e politicizzati, con un interesse orientato principalmente al gameplay e al coinvolgimento degli streamer nella campagna. Il tema trasversale è quello che riconosce a questi ultimi un ruolo educativo: molti commenti («Sei il miglior insegnante», «Ho imparato più con questo video che nelle lezioni di geografia!»; «Voglio che tu sia il mio insegnante, vado a scuola, ho 8 anni») dimostrano come l’intento di coinvolgere gamer noti per creare contenuti didattici sia stata una scelta lungimirante, nell’ottica di comunicare delle informazioni che altrimenti sarebbero state difficilmente ascoltate (si pensi che il materiale dei creator è stato visto per 2.954.510 minuti, quasi 5 anni e mezzo).

Dall’analisi emergono tre aspetti principali.
In primo luogo, i videogiochi sandbox come Minecraft possono generare pratiche narrative innovative in grado di superare la polarizzazione politica che caratterizza la comunicazione ambientale sui social media tradizionali. L’assenza di obiettivi moralmente significativi a distinguere tra vincitori e vinti dà vita a uno spazio rappresentazionale innovativo in cui potersi confrontare senza condizionamenti morali e senza la necessità di raggiungere un fine predeterminato per essere riconosciuti come dei buoni giocatori. Questo avviene efficacemente in Minecraft grazie alla libertà del suo gameplay: la mancanza di uno scopo a monte lascia agli utenti la possibilità di scegliere come giocare a partire dalle regole stesse. In questo caso la regola stabilita dai realizzatori della mappa era chiara: il server sarebbe stato disponibile solo in modalità esplorazione. La motivazione di tutto questo non derivava tanto dal timore di possibili comportamenti devianti nella foresta virtuale, quanto da una scelta strategica ed ‘etica’ di fondo da parte degli sviluppatori, come suggeriscono le parole del project manager:

«Ci siamo chiesti se avremmo dovuto permettere alle persone di tagliare gli alberi anche nel gioco, ma abbiamo deciso di non farlo: si dovrebbe cambiare la vita reale, per questo la foresta nel gioco sarebbe stata solo osservabile» [J., 27 anni, project manager]

Se la modalità di gioco sulla mappa di Białowieża avesse previsto come obiettivo salvare gli alberi, ci sarebbe stata un’ideologia di base che divideva fra bene e male, fra salvare e distruggere. La regola imposta dai realizzatori della mappa lasciava invece la discussione morale fuori dal gioco, per fornire uno spazio libero dalla polarizzazione dove imparare. Minecraft non era il campo dove si sarebbe “giocata la partita”, ma era un mezzo per cambiare il mondo reale.

In secondo luogo, i giochi sandbox, se usati come giochi seri, possono offrire una cornice orientata all’apprendimento all’interno dei processi di attribuzione di significato riguardanti le questioni ambientali. Pur prevedendo regole che orientano il comportamento del giocatore (Bogost et al. 2010), videogiochi di questo tipo consentono la formazione di cornici interpretative meno rigide, meno polarizzate e più orientate all’ascolto. Grazie all’alto grado di manipolazione dei suoi mondi e alla libertà di creazione, Minecraft in particolare rappresenta una cornice saliente per il meaning-making (Gee 2007). La campagna può essere letta come un caso di educazione alla sostenibilità, dove questo termine denota la necessità di trovare un equilibrio tra ciò che Białowieża rappresenta oggi e ciò che potrebbe rimanerne in futuro nel caso di misure nocive ai cicli naturali della foresta stessa. In questa direzione Minecraft è emerso essere un caso esemplare di “edutainment game” perché:

  1. Ha permesso ai Gen-Zers di esplorare la foresta, cosa impossibile nel mondo reale per motivi di sicurezza (l’area non era accessibile al pubblico), costo (non tutti i ragazzi potevano permettersi di visitare la foresta di persona) e tempo (lo sforzo sarebbe stato maggiore del beneficio percepito);
  2. Ha coinvolto i più giovani in un percorso didattico che ha favorito l’apprendimento di una serie di informazioni;
  3. Ha permesso il riconoscimento del problema e aumentato la percezione della propria autoefficacia (Bandura 1997), soprattutto per quanti hanno effettivamente firmato la petizione, dimostrando di aver compreso la possibilità di influenzare in prima persona il mondo circostante.

In terzo luogo, la scelta è ricaduta su Minecraft sia per la sua popolarità sia per il suo potenziale educativo. L’intento pedagogico della campagna si è articolato attraverso una serie di lezioni nelle scuole e nei materiali educativi prodotti dai vari streamer. Va sottolineato come questi possano rappresentare non solo un ponte verso un nuovo pubblico (difficilmente raggiungibile dai media tradizionali) ma soprattutto una “leva educativa” per lo sviluppo di atteggiamenti in grado di influenzare la cultura ecologica comune. I creators hanno infatti contribuito a creare una cornice “sicura” dove poter imparare: le reazioni dei più piccoli sono state entusiastiche, non pochi di loro hanno infatti affermato di aver imparato molto di più sulla foresta grazie ai video ambientati sulla mappa piuttosto che nelle lezioni di geografia. Questo permette di capire come non solo la struttura e la motivazione fornita dai videogame può essere capitalizzata per educare all’ambiente, ma come anche tutte quelle figure che ruotano attorno al mondo del gaming e della scuola possono collaborare per aumentare l’efficacia del messaggio ambientale.

Se l’obiettivo della Comunicazione Ambientale è ottenere cambiamenti significativi non solo nelle attuali politiche ambientali, ma soprattutto nelle abitudini e nei comportamenti dei cittadini (Abbati 2019), è necessario quindi comunicare in maniera efficace, differenziando il messaggio a seconda del target e individuando il medium migliore per raggiungerlo (Trolliet et al. 2019). Tutto ciò è particolarmente delicato se si considera l’urgenza che l’ambiente rappresenta oggi unita alla capacità riconosciuta ai media di veicolare determinate rappresentazioni, da cui possono emergere nuove forme di conoscenza e comprensione, che potrebbero condizionare lo sviluppo della società, modificandone la cultura, una volta divenute dominanti (Innis 1951; McLuhan 1964; Ong e Calanchi, 2014). Bisognerebbe quindi domandarsi fino a che punto i social media tradizionali, con tutte le loro criticità (echo chambers, fake news e atteggiamenti d’odio diffuso) siano in grado di ottemperare a questo compito.
Questa ricerca, seppur limitata, ha cercato di dimostrare come i videogiochi sandbox possano rappresentare una strada da percorrere: superando la distinzione tra vinti e vincitori sono in grado di svolgere un ruolo centrale nell’educare e sensibilizzare le giovani generazioni all’ambiente. Minecraft nello specifico si è rivelato particolarmente adatto alle campagne di sensibilizzazione: progettato sulla possibilità di creare e ricreare mondi virtuali identici a quelli fisici (anche in scala 1:1), questo gioco offre una nuova prospettiva di osservazione dei problemi reali. La sua popolarità soprattutto tra i Gen-Zers (ma non solo) e i suoi diffusi usi educativi ne fanno un eccezionale veicolo per il discorso ambientale, anche grazie alla community di streamers e fan che ambientano i loro video nei mondi disponibili aumentandone il buzz.
La lezione appresa è proprio questa: i sistemi di rappresentazione procedurale e audiovisiva in grado di simulare i processi della vita reale di molti giochi sandbox, insieme alla partecipazione di una comunità transmediale che nei mondi virtuali e sulle piattaforme di video-sharing come YouTube e Twitch reinterpreta contenuti e significati, rappresentano un punto chiave per una combinazione vincente tra videogiochi e comunicazione ambientale. Questo aspetto, ancora poco approfondito, rappresenta una traiettoria di sviluppo futuro nella letteratura.

Gaia Amadori
Dottoranda, Università Cattolica di Milano

Bibliografia

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